venerdì 15 aprile 2016

Lucifernum

Nel romanzo Fotografie in Re Maggiore, Mattia porta Livia in un locale: Retsin's Lucifernum.
Il Lucifernum è un locale esistente, ma non a Roma, non in Italia, a Bruges. 
In questo locale si servono esclusivamente cocktail al Rhum (per chi proprio non si adatta al rhum, c'è sempre la birra e l'acqua). È un ambiente eccentrico dove si parla dal francese all'inglese, dallo spagnolo al portoghese, il neerlandese (la lingua del luogo) è forse quella meno parlata.
Nelle foto qui in basso, una serata danzante improvvisata con musica dal vivo e dei viaggiatori approdati da lontano...

 

  

Livia e Mattia al Lucifernum

Ci dirigevamo verso un comunissimo palazzo bianco, un portone di legno nero vagamente scrostato, al lato di questo portone un cartello nero con una scritta bianca “Infernum”. Iniziai a chiedermi dove mi stesse portando.
Mattia suonò il campanello dal trillo antico del portone. Aprì un ragazzo di colore in giacca e cravatta, ci accolse spiegandoci in inglese che il biglietto d’ingresso costava cinque euro con consumazione inclusa.
Entrammo in quella che mi sembrava una vecchia casa, passamo per un corridoio vagamente illuminato. Qualche sedia imbottita di velluto, un candelabro, quadri e statue. Mattia si aggirava in quel posto con sicurezza, imboccammo una porta a sinistra di quel labirintico edificio, delle scale e qui un altro cerbero: un uomo maturo dai capelli neri e grigi, gli occhi sottili con un’espressione egocentrica, le labbra strette in un sorriso tra il cortese e l’ironico. Salutò Mattia in francese come se fosse un suo vecchio amico, mi presentò… mi presentò come una sua amica. L’uomo mi sorrise ammiccante, quasi come se sapesse cosa stava accadendo nella mia vita negli ultimi giorni. Ancora un corridoio, qualche scalino, senza preavviso mi ritrovai in una sala piuttosto affollata, piccoli tavolini in ferro battuto, candele, un pianoforte suonato da un vecchio col cappello dalla voce rauca e gridata.
Ci sedemmo a un tavolino presso una finestra; fuori c’era un giardino con piante e statue.
Un’atmosfera decadente ovunque, un’idea di sacro e profano o forse di profano consacrato da un folle: c’erano candele, una statua della Madonna, le pareti avana ricoperte di quadri con mezzibusti di sensuali donne con nient’altro addosso che intense espressioni; al di sopra del bancone teste di gesso di personaggi famosi, alcuni veri, altri fittizi, tra loro Chaplin e Dracula.
Presi il menù dei cocktail, non più di una decina di drink, solo a base di rhum, riconobbi solo il mohito e il cuba libre, gli altri erano tutti long drink. Mi attirò il Choco–Rhum.
Le cameriere parlavano tra di loro in spagnolo e dovevano faticare per passare con i vassoi tra i tavolini ammassati. Nonostante l’insolita atmosfera non mi sentivo a disagio, al contrario c’era un certo clima di allegra esaltazione. L’aria del posto era colorata di granato, d’ambra.
Inabissata nell’osservare il posto, solo all’arrivo i nostri cocktail riemersi dal mio sogno.
(Fotografie in Re Maggiore)

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